La 14enne nissena, coinvolta nel Blu Whale Game. nei prossimi giorni, inizierà un percorso psicologico che le consentirà di superare questa dipendenza psichica autolesionistica.

Dopo il caso di  “Blu Whale” di Caltanissetta gli inquirenti della polizia postale stanno compiendo delle indagini per verificare gli ultimi contatti della ragazza che avrebbe ammesso di essere rimasta vittima di questo gioco al punto da non riuscire più ad allontanarsi da esso. La ragazza avrebbe raccontato, agli psicologi che la stanno seguendo, di avere paura e di non riuscire a dormire la notte. La  14enne , nei prossimi giorni, inizierà un percorso psicologico che le consentirà di superare  questa dipendenza psichica autolesionistica. Ma chi sono le vittime predilette del “Blu Whale Game” e come aiutare i nostri figli a non cadere nella trappola?

Le vittime più a rischio sono  i ragazzini sotto gli undici anni.

Dai dati statistici emergerebbe che le vittime predilette del “Blu Whale Game”sarebbero i ragazzini  sotto gli undici anni  poichè sarebbe molto più semplice  manipolare le menti dei bambini di età inferiore agli 11 anni che fino a quell’età non hanno ancora sviluppato il pensiero astratto, perciò fanno riferimento solamente al pensiero concreto. La preadolescenza e l’adolescenza sono fasi in cui ci si distacca sempre più dai genitori e dalla propria famiglia per investire all’esterno, nel creare una rete di amicizie. È l’attaccamento agli amici che permette di potersi allontanare dalle iniziali figure d’attaccamento affettivo per investire sempre più verso i pari, con i quali crescere, sommando e diversificando le esperienze. Secondo lo  psicologo  Massimo Canu, docente di Psicologia delle Dipendenze all’Università Niccolò Cusano – L’appartenenza è un bisogno fondamentale nell’uomo e, nel gioco alla Blue Whale, si sente di appartenere ad un élite ultra selezionata. Solo chi sta particolarmente male può accogliere regole di “gioco” così autolesionistiche, così tanto aggressive, innanzitutto, verso di sé. Anche in questo “gioco”, secondo Canu, si verifica una forte dissociazione tra il reale e desiderio, tra il bene e il male, tra il bisogno di dipendenza sana e la sublimazione nella dipendenza patologica: il “curatore”, colui che impartisce i livelli di sofferenza al “giocatore”, si sostituisce all’agente di cure (genitori); il desiderio di partecipazione si fonda non sull’arricchimento (denaro, prestigio, potenza), bensì sull’annichilimento (psicologico e fisico); il gioco non si conclude con la perdita del denaro ed il riavvio di un’ulteriore partita, bensì con il paradosso del “riavvio” della propria vita, con il “raggiungimento della libertà” come dice la cinquantesima e ultima regola del gioco, laddove, invece, con un salto nel vuoto, si impone un punto definitivo alla propria vita.

Come difendere i nostri  figli?

Quali sono dunque, i principali rimedi o comportamenti per tutelare i propri figli da una moda come questa? “La risposta è semplice, l’attuazione è molto complessa – continua lo psicologo –  osservandoli, ascoltandoli, parlandoci, guardandoli negli occhi. Spesso, i genitori, presi da una vita sempre più difficile, da un punto di vista lavorativo, economico e temporale, delegano le cure per il proprio figlio, più che alla televisione, come accadeva in passato, alle nuove tecnologie, ai social”. Non è un caso che a Latina,  una potenziale vittima,  sia stata salvata proprio grazie all’essersi rivolta ai suoi genitori dopo l’invito per partecipare al Blue Whale arrivato in una chat  di Whatsapp da un numero sconosciuto. “Gli scambi relazionali – prosegue Canu – sembrano essere sempre più diradati ed impoveriti, a vantaggio di amicizie virtuali. La gratificazione del “dopo” sembra essere sempre più soppiantata, a vantaggio della gratificazione nel “qui e ora”, come i tipi di gioco più fruiti. Ciò che le istituzioni non contemplano, però, nel momento in cui attribuiscono ai genitori la sola responsabilità delle cure verso i loro figli, è che anche i genitori sono delle persone; anche se adulte, oltre alle risorse hanno debolezze e fragilità. Per poterci prendere cura della società, più a largo spettro, perché possa essere sempre più relazionale e coesa, quindi tanto dei minori quanto degli adulti, credo non si possa prescindere dalla domanda “chi, come e da quando aiutare le persone a stare bene, a prescindere dalla loro età anagrafica?” Questo approccio credo possa garantire l’evitamento dell’aprioristica condizione vittima – carnefice, quindi l’allontanamento dalla condizione narcisistica della società, per indirizzare le persone, sempre più, verso la scoperta, l’accettazione e la cura di sé, dunque la scoperta e tutela dell’altro. Del sé e dell’altro reale, con i propri e altrui bisogni, punti di forza e fragilità”.

Davide Difazio, giornalista iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, elenco pubblicisti Sicilia, dal 09/05/2003 N° di tessera 098283, protagonista di diverse trasmissioni televisive in Rai e Mediaset ha collaborato con diverse testate giornalistiche nazionali ottenendo risultati lusinghieri. Fondatore della testata giornalistica Siciliareporter.com, in pochi anni , è riuscito a far diventare il portale un importante punto di riferimento per l'informazione siciliana.