Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta inviataci dall’Associazione Cittadinanzattiva in merito la questione sollevata a livello agrigentino e locale relativa alla futura collocazione della salma di Rosario Livatino che il giorno 9 maggio sarà fatto beato.
“Da alcune settimane a Canicattì si dibatte vivacemente su un argomento tanto importante quanto delicato concernente la sede ultima da destinare al nostro concittadino Rosario Angelo Livatino, che il 9 maggio sarà proclamato Beato nella cattedrale di Agrigento.
In verità la questione è sorta perché il nostro Arcivescovo Card. Francesco Montenegro ha espresso il vivo desiderio che la salma fosse traslata dal cimitero di Canicattì alla Cattedrale di Agrigento per nobili e alte motivazioni (che noi tutti conosciamo dalla lettera che ha mandato alla comunità ecclesiale della città), mentre i suoi concittadini rappresentati da associazioni, gli amministratori comunali, gli amici, i compagni del liceo, gruppi spontanei, vorrebbero fortemente che Rosario restasse nel suo paese.
Anche noi di Cittadinanzattiva, un’associazione che da decenni è presente sul territorio con lo scopo di difendere e tutelare tutti i diritti dei cittadini, abbiamo preso una posizione al riguardo ed ora, come coordinatrice del gruppo, in breve ve la esporrò, sollecitata soprattutto da alcuni soci che hanno conosciuto e apprezzato le doti di grande umanità, di correttezza , di saggezza e di bontà del Giudice Livatino.
Innanzitutto Rosario è nato in questa città e ha voluto vivere tutta la sua, purtroppo breve, esistenza a Canicattì. E se ha lavorato ad Agrigento e a Caltanissetta è perché quelle sono le sedi più vicine del Tribunale, non perché prediligesse quelle città rispetto alla sua, non nota, non bella, non famosa, città d’elezione.
Mi è stato raccontato da più persone che lo hanno conosciuto e frequentato, sia colleghi di lavoro che amici, che spesso lo sollecitavano perché prendesse casa a Agrigento, in questo modo sarebbe stato meno rischioso, perché molto più breve, il tragitto giornaliero per recarsi al lavoro, ma egli sosteneva che non voleva assolutamente lasciare la sua città, a cui era molto legato, anche se per estrema riservatezza non lo dimostrava, e i suoi genitori, coi quali aveva un rapporto straordinariamente forte.
Canicattì, che gli ha dato i natali, che l’ha visto alunno sempre eccellente in tutte le scuole frequentate, che lo ha accolto orgogliosamente come magistrato impegnato da subito nella lotta contro il potere mafioso, da sempre e chissà ancora per quanto, presente nel tessuto cittadino (come dimostrano ancora una volta gli arresti di qualche giorno fa) ha, oggi più che mai, bisogno della sua presenza
concreta, perché il suo eroico esempio sia da sprone alle nuove generazioni per intraprendere con fermezza e coraggio la strada non sempre facile della legalità, della giustizia, dell’etica tesa alla realizzazione del Bene Comune, e sia nello stesso tempo da monito e da incoraggiamento a quegli
individui che hanno fatto nella loro vita scelte delittuose, affinché siano illuminate dal grande faro che sta diventando Rosario, perché comprendano appieno che ci si può affrancare dalle logiche perverse della criminalità organizzata, che solo apparentemente è la strada del successo, del guadagno facile, del benessere.
Dopo la sua morte, quando già era stato avviato il processo di beatificazione, il padre Vincenzo, provato dagli anni e dalla straziante e incolmabile perdita dell’unico figlio, più volte ebbe a raccomandare a intimi amici e parenti che si prodigassero perché il corpo del figlio fosse trasferito nella Chiesa di san Domenico, dove Rosario è stato iniziato alla vita cristiana, ha ricevuto i sacramenti, ha pregato tutte le domenica insieme alla comunità.
E se ci sono degli impedimenti alla sepoltura in questa bella e nobile chiesa, come sembra, perché non pensare alla Chiesa Madre della città, dove Rosario è stato battezzato il 7 dicembre 1952, come recita una lapide di fianco al fonte battesimale, e dove riposa il nostro concittadino Mons. Angelo Ficarra.
Sicuro si farebbero compagnia queste due grandissime personalità dotate di intelligenza e di cultura straordinarie, di grandissima fede, di un atteggiamento di profondo rispetto nei confronti dei superiori e di un inattaccabile senso della giustizia vera.
Mi piace concludere questa lettera aperta prendendo a prestito una frase del vescovo Angelo Ficarra, punito ingiustamente con l’esilio in contumacia nella sua città, dopo avere operato nella diocesi di Patti con saggezza, bontà e lungimiranza per un ventennio molto difficile per la Chiesa e per lo stato italiano, da una Chiesa incapace di interpretare con lucidità gli eventi storici del tempo, perché troppo legata alle logiche materiali della società.
A una vecchietta che si rammaricava nel vederlo privo di mitra e pastorale, segni del potere vescovile, egli seraficamente rispose sorridendo:
“Anche da Canicattì si può andare in Paradiso”.
