Ad influenzare l’elevata circolazione del Covid-19 tra gli anziani in Italia durante la prima ondata non sarebbe stata la forza dei legami tra generazioni dentro le famiglie, piuttosto il maggior numero di incontri quotidiani, con persone di qualsiasi età, rispetto ad altri paesi europei come la Germania e il Regno Unito. Lo sostiene una ricerca pubblicata sulla rivista Plos One e realizzata da studiosi delle università di Trento, della Sorbona e di Bologna.

Per analizzare il problema e individuare i fattori potenzialmente più rilevanti nella diffusione del coronavirus, gli studiosi hanno utilizzato una serie metodi di simulazione in combinazione con dati reali sulle caratteristiche dei contatti sociali di persona.

L’analisi ha preso in considerazione in particolare le caratteristiche delle reti sociali in tre paesi – Italia, Germania e Regno Unito. “Abbiamo esaminato nello specifico il ruolo di tre caratteristiche delle reti sociali”, spiega Lucas Sage, dottorando alle università di Trento e della Sorbona, primo autore dello studio: “la degree distribution, ovvero quanti contatti faccia a faccia hanno mediamente le persone nei tre diversi paesi; age-mixing, ovvero le differenze di età delle persone che si incontrano; clustering, ovvero la tendenza delle persone a condividere gli stessi contatti nelle reti sociali”.

Mettendo a confronto questi diversi aspetti con i dati di Italia, Germania e Regno Unito, i risultati delle simulazioni hanno mostrato che le differenze di età tra i contatti sociali hanno un impatto molto basso, mentre è invece il numero complessivo di contatti faccia a faccia tra le persone a determinare una maggiore diffusione del contagio.