Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa del Consigliere comunale, Mimmo Licata indirizzata agli arcivescovi della chiesa agrigentina in merito al trasferimento delle spoglie mortali del giudice Rosario Livatino.
“Spiace che il nostro Arcivescovo, alle soglie della quiescenza, provi amarezza per la città di Canicattì, a causa della nobile – a nostra avviso – reazione alla volontà di spostare dalla nostra città le spoglie mortali del giudice Rosario Livatino.
Si rende necessaria una risposta alle lettere che sua Eminenza ha voluto gentilmente far pervenire al Sindaco e al Consiglio Comunale con cui elevare rispettosamente e civilmente alcuni chiarimenti, pur considerando quella missiva quasi irricevibile per i toni e il contenuto più da pastorizia che da pastorale, per gli elementi capziosi e artatamente proposti alla attenzione della coscienza civile e religiosa della città e dell’intera provincia di Agrigento.
Se la motivazione (ribadita nella lettera rivolta ai fedeli della città) del trasferimento della salma è che la città di Agrigento è stata il luogo di lavoro di Rosario Livatino perché, provocatoriamente, non considerare Palermo dove ha studiato o contrada Gasena, il luogo del martirio?
Considerare più congrua la città di Agrigento per la caratura internazionale del futuro beato: oltre ad una gara di mondanità spirituale, tanto condannata dal Santo Padre, ci sembra “vana gloria”.
Più attrezzata è la città di Agrigento rispetto la città natale, condannata ad una volgare classifica, recondito luogo, privo dell’orizzonte sull’infinito della città dei Templi, della “più bella città dei mortali”.
Allora, più provocatoriamente, si potrebbero portare le spoglie mortali di Livatino a Roma, nella città eterna, magari presso la chiesa dei Santi Andrea e Gregorio al Monte Celio, quale luogo migliore per rendere più internazionale e visibile il “piccolo giudice di Canicattì”?
Forse la città di Canicattì potrebbe anche farsi carico di scrivere in merito al Santo Padre.
Per cultura e per semplice intuizione sappiamo quale è il ruolo storico, affettivo ed ecclesiale della grande e gloriosa Cattedrale di Agrigento, segno nel tempo e nella storia del cristianesimo in questo territorio.
La Chiesa madre “presiede” e precede le comunità sparse nel territorio, reso ricco di città e di beni, che nel complesso e nella sua unità rendono speciale la Chiesa agrigentina.
Un edificio più volte chiuso per inagibilità, situato in una zona problematica per i moderni standard di protezione civile, verso cui si spera di indirizzare pellegrinaggi, celebrazioni, eventi “internazionali”.
E relativamente alla competenza della chiesa parrocchiale di San Domenico al F.E.C Sua Eccellenza il Prefetto, su richiesta, potrebbe negare la collocazione?
La Chiesa di San Domenico, pantheon della città di Palermo che accoglie le spoglie del Giudice Falcone, appartiene anch’essa al F.E.C.?
E il prefetto di quella città ha dato riscontro positivo alla richiesta di seppellire dentro la chiesa di propria competenza la salma dell’illustre cittadino?
La chiesa di San Domenico ad Agrigento ha accolto le spoglie mortali del vescovo Petralia.
E poi, il richiamo al nostro venerato Padre Gioachino, “il buon cappuccino Servo di Dio di Canicattì”, tirato in ballo in una questione così delicata.
Il Vescovo ci spiega la differenza tra i due nostri amati concittadini, graduandone, discriminandone l’importanza e la santità, mentre rimangono entrambi cari e nascosti nell’intimo nella memoria della città, differenti per il proprio carisma e vocazione. “Gareggiate a vicenda nello stimarvi!”
Per il profondo senso di rispetto e venerazione che la città ha prima nei confronti di Padre Gioacchino e poi, ma solo per ordine di tempo, nei confronti di Rosario Livatino, preferisco non commentare ulteriormente.
Tuttavia, quello che balza agli occhi è questa scelta “centralista”. Il cardinale Montenegro è segno della attenzione alle periferie: quelle geografiche, quelle esistenziali. Lampedusa periferia d’Europa, Agrigento periferia d’Italia, e ora Canicattì anch’essa periferia. Al mondo contemporaneo si direbbe che dalla periferia si reagisce. L’intera esperienza episcopale del cardinale Montenegro ha voluto mettere in luce i limiti delle periferie sociali, culturali, esistenziali. Perche adesso questo cambio di rotta? Vogliamo sommessamente ricordare come straordinariamente da Betlemme, il più piccolo dei paesi, sia nata la speranza.
Ai contemporanei e ai posteri Rosario Livatino è proposto come il laico martire: e non diventi un pezzo da museo, chiuso in una splendida cornice e avulso dal contesto della laicità che Egli ha vissuto Sub Tutela Dei.
Dove è la Chiesa in uscita?
Dall’impegno dei canicattinesi, a cui ora più che mai siamo grati perché per primi (quasi come discepoli) hanno visto un esempio in Livatino, in Italia ci sono scuole e strade intitolate al Giudice, l’interesse internazionale è volato da Canicattì senza che Agrigento ne facesse da volano.
Creare questa mescolanza tra la vita reale, che certamente ha coinvolto il Capoluogo, come luogo di lavoro e pure di preghiera, e il centro vitale di appartenenza, in cui permangono i siti del Giudice, significa stabilire una schizofrenia nella proposta di vita e di fede
Si ritiene che sia ermeneuticamente e teologicamente valida la proposta di unità della esistenza del Giudice, il cui centro di gravità è Canicattì. La professoressa Ida Abate ebbe a spiegare drammaticamente che nella corsa disperata lungo la scarpata di contrada Gasena, ferito e braccato, il Giudice pensasse a suo padre e a sua madre, come se volesse scampare alla morte non per viltà ma per non dispiacere ai suoi anziani genitori, che a Canicattì con trepidazione lo aspettavano.
Ci si chiede come mai, a seguito dell’annuncio della decisione del Papa, non si è predisposto un calendario dell’iter verso la beatificazione, specificando e chiarendo ai fedeli e all’opinione pubblica il percorso e le tappe, per sensibilizzare e suscitare l’attesa del fatidico evento?
Come mai non si è pensato di istituire un comitato per organizzare gli eventi e vagliare le proposte in campo?
Come Cattolico, battezzato e rappresentante delle istituzioni locali, a nome di un intera città faccio, infine, appello agli Arcivescovi di rivedere la loro decisione.
Non è nostro intendimento interferire nell’azione pastorale che possiamo o non condividere, ma chiediamo di considerare nel loro saggio discernimento di attivare un flusso che confermi i vicini per arrivare i lontani, di confermare non già gli spazi (belli, splenditi, consoni della Cattedrale), ma il valore del tempo della esistenza del Giudice canicattinese, che ha voluto fare la lotta contro la mafia trovando la forza in Dio.
Eminenza ed Eccellenza reverendissime, la storia del Giudice canicattinese non inizia e non finisce nelle spoglie mortali, non sono esse l’esempio, ma lo è la vita e la tragica morte, che a Canicattì trovano criterio, completezza, sostanza e prova.
Ci auguriamo che, in coscienza, non solo chi ha esagerato nel parlare, ma anche chi ha esagerato nelle scelte senza ASCOLTARE il Popolo di Dio abbia l’umiltà di riconoscerlo, la saggezza di ravvedersi e la disponibilità ad aprirsi ad un dialogo costruttivo, auspicando con forza che la Curia dialoghi con l’Amministrazione Comunale al fine di progettare quanto è necessario affinché il Giudice Livatino resti a Canicattì con il suo Popolo.”