Nell’ambito di un’ampia operazione antimafia denominata Oleandro, condotta dalla Guardia di Finanza, sono stati eseguiti 15 arresti tra cui figurano membri di spicco della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano.

L’operazione, estesa su diverse province, ha coinvolto 26 indagati, con l’emanazione di un’ordinanza di custodia cautelare da parte del giudice istruttore del capoluogo etneo.

Gli arrestati, accusati di vari reati tra cui associazione mafiosa, usura, traffico e spaccio di stupefacenti, e riciclaggio di denaro, sono stati individuati grazie alle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia (Dda).

Oltre 120 finanzieri del comando provinciale di Catania hanno partecipato alle operazioni, portando a termine arresti e sequestri di beni per un valore superiore a 12 milioni di euro.

Tra i principali indagati spiccano i nomi di Antonino Alecci, noto come “Nino”, Andrea Caruso, Nunzio Comis, Giuseppe Conti, e altri. Interessante è il coinvolgimento di Giuseppe Russo, soprannominato “il giornalista” o “l’elegante”, presumibilmente al vertice del clan dopo l’arresto di Carmelo Salemi, conosciuto come “u ciuraru”, avvenuto nel 2020.

Le indagini hanno preso avvio da elementi emersi in un’operazione precedente delle Fiamme Gialle, denominata “Tuppetturu”. Durante un’intercettazione, esponenti del clan Cappello e Cintorino discutevano delle dinamiche all’interno del “gruppo di Picanello”, storica branca del clan Santapaola-Ercolano.

Emergendo come figura chiave, Carmelo Salemi, noto “u ciuraru”, è stato individuato come il principale artefice della riorganizzazione del gruppo mafioso, decimato da arresti precedenti.

In seguito all’operazione, sono stati sottoposti a sequestro diversi beni appartenenti agli indagati, tra cui società immobiliari come Karma Immobiliare S.R.L., Fabri Immobiliare S.R.L., e altre sette società, con sede principalmente a Catania. Le indagini continuano per smantellare completamente la rete criminale e individuare eventuali complici ancora in libertà.

Per gli incontri con i sodali, Salemi e Russo si sarebbero serviti di una stalla a Picanello intestata a un familiare di Alfio Sgroi, braccio destro di Salemi. Del “gruppo di Picanello” avrebbero fatto parte anche Antonino AlecciAndrea CarusoGiuseppe GambadoroFabrizio Giovanni Papa e Alfio Sgroi, ciascuno con ruoli ben definiti.

In particolare, Alecci avrebbe rivestito una funzione primaria all’interno del clan, in quanto ritenuto uomo di fiducia del boss storico Giovanni Comis, reggente del gruppo di Picanello dal 2013 al gennaio 2017, quando è stato arrestato nell’ambito di un’altra indagine.

Sarebbe stato inoltre il gestore di attività di gioco d’azzardo illegale nella zona di Picanello, i cui introiti sarebbero stati destinati al clan, nonché incaricato della raccolta dei soldi delle estorsioni, comprese quelle perpetrate a Natale e Pasqua, pur occupandosi personalmente e principalmente del traffico di droga per conto del clan.

Caruso, Gambadoro e Sgroi si sarebbero occupati delle attività estorsive e usurarie e del traffico e spaccio di droga. Una delle attività più redditizie del sodalizio sarebbe stata infatti l’erogazione di prestiti a tassi usurari.

Gli indagati avrebbero utilizzato metodi mafiosi per minacciare le vittime e garantirsi il pagamento delle rate di capitale e interessi. Sarebbe emerso un meccanismo collaudato con finanziamenti di piccoli tagli, di norma da 500 a 2.500 euro, da rimborsare in rate settimanali o mensili con un tasso di interesse oscillante tra il 140% e il 350% su base annua.

Uno dei protagonisti di queste attività sarebbe stato Nunzio Comis, figlio del boss Giovanni, che avrebbe utilizzato un telefono aziendale intestato fittiziamente a un’altra persona, facendosi chiamare “Melo” durante le conversazioni per evitare di essere identificato.

Inoltre, avrebbe fatto uso di un noto bar di Picanello come punto di incontro per la riscossione delle rate da parte degli indebitati. Gli importi sarebbero stati consegnati a Lorenzo Antonio Panebianco, all’epoca dipendente del bar.

Emersa l’esistenza di una cassa comune del sodalizio in cui far confluire i proventi delle attività illecite e da cui attingere per supportare economicamente gli affiliati detenuti o ex detenuti da poco usciti dal carcere e le relative famiglie, sostenendone pure le spese di viaggio in occasione delle trasferte per i colloqui, erogare gli stipendi, pagare gli onorari degli avvocati difensori degli affiliati, reinvestire in altre attività criminali.

Vi sarebbe stata anche una contabilità – chiamata la “carta” – composta da appunti scritti recanti i creditori e debitori del sodalizio nonché i guadagni e le spese sostenute.

Il riciclaggio dei proventi illeciti sarebbe stato infine assicurato da Fabrizio Giovanni Papa, imprenditore attivo nel settore dell’edilizia, ritenuto particolarmente legato al “gruppo di Picanello” e a Carmelo Salemi, al quale avrebbe messo a disposizione le proprie società per il riciclaggio di ingenti quantità di contanti provento delle attività criminali del clan.