Un’impresa edile, con sede a Favara (AG), nel Maggio del 2019, assistita dagli Avv.ti Girolamo Rubino e Lucia Alfieri, aveva adito il T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, al fine di ottenere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento con il quale la Prefettura di Agrigento aveva respinto la propria richiesta di rinnovo dell’iscrizione alla “white list” (l’elenco delle imprese autorizzate a contrarre con la Pubblica Amministrazione) ed emesso, nei confronti della medesima, un’informativa interdittiva fondata esclusivamente sull’esito di un procedimento penale nei confronti di due stretti congiunti (padre e fratello) della legale rappresentante della stessa società, conclusosi con la condanna, in primo grado, dei medesimi per uno dei delitti ricadenti nel novero dei c.d. reati spia di cui all’art. 84, co. 4, D.lgs. n. 159/2011.

Con il medesimo ricorso, l’impresa aveva impugnato anche gli atti dell’A.N.A.C. e del Libero Consorzio Comunale di Enna, a mezzo dei quali erano stati disposti, rispettivamente, l’annotazione nel casellario informatico dell’avvenuta adozione dell’informativa interdittiva e la sospensione dei lavori affidati alla medesima a seguito della comunicazione del suddetto provvedimento interdittivo.

Infine, con successivi motivi aggiunti, l’impresa aveva impugnato gli atti con i quali il Comune di Alcamo, nelle more del giudizio, aveva escluso la società ricorrente dall’appalto di taluni lavori di manutenzione della viabilità interna, esterna e rurale, a seguito dell’interdittiva prefettizia.

Già in sede cautelare del giudizio, il T.A.R. Sicilia-Palermo, ritenendo fondate le censure formulate dagli avvocati Rubino e Alfieri, aveva accolto la richiesta cautelare dagli stessi formulata, sospendendo l’efficacia degli atti adottati dalle varie amministrazioni intimate.

I legali Rubino e Alfieri, in particolare, avevano censurato l’illegittimità della misura interdittiva adottata sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto d’istruttoria e motivazione insufficiente, ribadendo il principio, consolidato in giurisprudenza, secondo il quale una sentenza di condanna per uno dei c.d. reati spia, ben può costituire valido ed unico indizio di contiguità mafiosa solamente se sorretta da un’autonoma ed accurata valutazione da cui possa evincersi un effettivo o potenziale condizionamento mafioso sull’attività di impresa.

Nel caso di specie, invece, gli unici elementi presi in considerazione dalla Prefettura erano costituiti dalla sentenza penale di condanna resa nei confronti dei parenti conviventi delle due socie della società ricorrente, e dal mero rapporto parentale che ad esse li lega, senza riferimento ad alcun elemento concreto da cui poter presumere un pericolo, quantomeno potenziale, di una infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

Ad esito dell’udienza di merito, il T.A.R. Palermo si è definitivamente pronunciato sul ricorso e sui motivi aggiunti e, con sentenza di accoglimento, ha annullato i provvedimenti impugnati, rilevando – in adesione alle tesi dei difensori Avv. Girolamo Rubino e Lucia Alfieri – l’assenza di qualsiasi valutazione sulla effettiva e attuale rilevanza della detta sentenza di condanna emessa nei confronti dei soggetti conviventi con le due socie dell’impresa colpita dal provvedimento interdittivo rispetto ad un possibile condizionamento della criminalità mafiosa sull’attività di impresa.

Pertanto, per effetto della superiore pronuncia, l’impresa favarese potrà conseguire l’iscrizione nella “white list” e contrarre con la Pubblica Amministrazione.