Viaggio a Trapani per conoscere Gisella Mammo Zagarella e la Calcestruzzi Ericina Libera Società Cooperativa.

Di Serena Milisenna

La Calcestruzzi Ericina Libera, azienda di Trapani confiscata alla mafia, rappresenta  il volto della Sicilia #antimafia e #green.

Dopo l’espropriazione al boss Vincenzo Virga, gli amministratori di questa cooperativa hanno scelto anche la strada dell’economica circolare, istallando un impianto di riciclaggio di inerti tecnologicamente all’avanguardia. Il riciclo degli scarti edilizi è diventato un nuovo elemento di rilancio per un’azienda già emblema di lotta e grande cambiamento. La cooperativa di lavoratori tenaci ha scommesso, dunque, su duplici valori: il No alla mafia e la necessaria riduzione etica degli scarti. Il risultato? La Calcestruzzi Libera propone materiali affidabili riutilizzabili in parcheggi, gallerie e altre costruzioni.

Io ho avuto il grande onore di poter intervistare Gisella Mammo Zagarella, amministratrice delegata dell’azienda. Con lei, con il suo coraggio e la sua determinazione, ho inaugurato un ciclo di interviste dedicato a donne forti e che #alimasurda non demordono, nonostante le difficoltà e gli atavici gap strutturali, territoriali, sociali e politici.

Laureata in Ingegneria Ambientale presso l’Università degli Studi di Palermo, Gisella, originaria di Favara, ha sempre mosso i suoi passi in ambienti prettamente caratterizzati dalla presenza di uomini, dove si è integrata con grande spirito di adattamento, dopo un percorso di valutazione del “cosa possiamo fare insieme, mettendo in relazione le nostre competenze”. Questo modo di pensare, condiviso anche all’interno della Libera Cooperativa, manifesta il livello di grande maturità di chi opera in maniera costruttiva, oltre gli stereotipi di genere e oltre le paure. 

Il volto di un’Italia che non molla, intervista a Gisella Mammo

Ciao Gisella, grazie mille per questa opportunità. Ti chiedo a bruciapelo, visto il tipo di lavoro che fai, se hai dovuto lottare di più per affermarti in un ambiente prettamente maschile.

“Certo, essere donna in un ambiente maschile comporta fare il doppio della fatica per affermarsi, ma una volta che dimostri con i fatti quel che sai fare diventi un valore aggiunto. Anche noi donne comunque dovremmo iniziare ad eliminare gli stereotipi e a cambiare prospettiva: a mio avviso, non si deve parlare di differenza di genere, ma di competenze, di formazione e di professionalità.

Per quanto riguarda il mio ingresso alla Calcestruzzi Ericina Libera, il dott. Luigi Miserendino, amministratore giudiziario della precedente SRL, ebbe il coraggio prima di rivalutare e adeguare tecnologicamente il comparto aziendale, assumendosi responsabilità che altri con la sua carica non si sarebbero accollati, e poi di assumere una donna ingegnere! Questa storia la ricordo sempre con grande affetto e piacere, perché quando mi chiamò al telefono e mi disse che aveva avuto il mio curriculum dall’università io stavo riattaccando perché pensai si trattasse di uno scherzo.

Lavoravo già da diversi anni e non mi era capitato che un imprenditore si attivasse tramite università e non tramite conoscenze o attraverso la solita politica del nepotismo.

Durante il successivo colloquio con lui, parte della conversazione si è incentrata sulla questione di svolgere il lavoro in un ambiente maschile e se ciò potesse costituire un problema per me. In realtà – ma questo l’ho saputo dopo – lui è stato volutamente provocatorio per verificare sia quello che pensavo, ma soprattutto come reggevo a questo tipo di pressioni e non solo.

Il volto di un’Italia che non molla, intervista a Gisella Mammo

In generale, nel contesto non mi sono sentita mai fuori luogo. L’ingresso in questa nuova realtà, come tutti gli ingressi in nuovi ambiti – al di là se prettamente maschili o femminili – è stato caratterizzato da un periodo di studio e osservazione: io dovevo capire dov’ero, cosa significasse lavorare in un bene confiscato alla mafia e chi erano i miei compagni di viaggio.

Tutti i dipendenti costituivano un gruppo da più di 25 anni e oltre ad essere colleghi erano amici, si capivano con lo sguardo.  A loro volta anche loro dovevano capire chi fosse questo ingegnere non trapanese che era stata scelta, unica laureata del gruppo e per giunta donna! Dico sempre scherzando di avere tre difetti: essere ingegnere, donna e “straniera”.

Penso che il periodo di osservazione e di studio sia sempre necessario in un nuovo tipo di rapporto di lavoro: dovevamo capire tutti se potevamo fidarci gli uni degli altri e se c’erano le competenze e le professionalità per andare avanti insieme. Io stessa alla fine del colloquio dissi all’amministratore che ero d’accordo sui 3 mesi di prova che mi aveva proposto, perchè io potevo non piacere a loro, ma loro sarebbero potuti non piacere a me.

All’inizio del mio lavoro alla Calcestruzzi ero un po’ la novità, forse venivo guardata talvolta con stupore e talvolta come un elemento di anormalità. Mi ricordo di un aneddoto: dopo pochi mesi dal mio inserimento, un muratore responsabile di un’impresa individuale parlando con il mio collega capo impianto disse: “Ho già parlato con la vostra segretaria”…perché nell’immaginario collettivo una donna non può avere un ruolo apicale. Un’altra volta, rispondendo al telefono al responsabile di un’impresa che doveva ordinare del calcestruzzo, mi ritrovai di fronte al “Non voglio parlare con lei, ma con Bartolo, il capo impianto, perché devo parlare di calcestruzzo” e anche se io gli dissi che poteva riferire a me, con voce più stupefatta di prima rispose: “Ma io devo parlare di calcestruzzo, lo capisce?”….e a quel punto, avendo compreso che non si trattava di una mancanza di rispetto dei ruoli, ma solo di incredulità perchè quell’uomo non aveva semplicemente compreso che io (anche se donna) fossi un ingegnere, mi limitai a dire che avrebbe potuto richiamare dopo, non perché mi fossi infastidita, ma perché ritengo sia giusto lasciare il tempo agli interlocutori di abituarsi o di conoscere meglio le persone”.

Il volto di un’Italia che non molla, intervista a Gisella Mammo

In una delle interviste rilasciate a La Repubblica, qualche tempo fa, hai detto che è necessario lavorare nell’ambito della legalità a tutto tondo, sui beni confiscati alla mafia e sul loro utilizzo sociale perché in Sicilia c’è ancora tanto da fare. A che punto siamo, secondo te?

La lotta alla mafia non può interessare solo la Magistratura e le Forze dell’Ordine, ma deve essere un processo sinergico che riguardi anche la società civile: solo se ognuno fa la propria parte sarà possibile fare qualcosa ed aspirare a qualche cambiamento.

Per quanto riguarda i beni confiscati, non si deve pensare che la vittoria sia solo la confisca o l’assegnazione alla cooperativa di lavoratori: la lotta alla mafia non finisce lì. Di certo, questo è un passaggio importante, ma bisogna dare sostegno a queste cooperative, controllando, ad esempio, il mercato e tutto quello che caratterizza il sommerso o, comunque, tutto quello che porta a ciò che definiamo “concorrenza sleale”.

Riteniamo che si debba entrare nell’ottica di prendere consapevolezza, tutti insieme, che un effettivo e tangibile strumento di contrasto alla criminalità organizzata è rappresentato dalle cooperative di lavoratori che gestiscono i beni confiscati alle mafie e che stanno sul mercato producendo economia pulita.

Tu e i tuoi colleghi avete mai paura?

Certo che abbiamo paura, ma intesa come paura di non portare avanti il nostro impegno, di non riuscire a pagare gli stipendi. Le difficoltà di mercato sono tante e stare al passo con la concorrenza “sleale” è molto impegnativo e faticoso, crea uno stato di incertezza e impotenza avvilente.

Le mafie ormai hanno cambiato linguaggio si sono riorganizzate, soprattutto dopo le stragi degli anni ‘90 alle quali è seguito, forse per la prima volta, un grande risveglio delle coscienze della società civile, forse per la prima volta la gente ha avuto il coraggio di scendere nelle piazze a manifestare il proprio NO e la propria indignazione.

Non dobbiamo più pensare alla mafia delle coppole e delle lupare, ma alla mafia che sa mettere i propri uomini al posto giusto, nei punti decisionali, ed ecco che in una realtà come la nostra le “intimidazioni” si trasformano in problemi del mercato, è capitato più di una volta vedersi sparire tra le mani, senza alcuna spiegazione, grosse commesse o, altre volte, di assistere impotenti alla trasformazione di uomini onesti che si sono distinti per il loro concreto, fattivo e professionale impegno al contrasto alla criminalità organizzata in “morti vivi”, e questo – a mio avviso – fa più male di un colpo di lupara.

Il volto di un’Italia che non molla, intervista a Gisella Mammo

State lavorando in team, condividendo amarezze, ma anche tanta voglia di andare avanti con coraggio e di essere, al contempo, innovativi nella proposta. Oggi siete in 12. Nel giro di pochi anni hai assunto il ruolo di amministratrice delegata. Quali sono le difficoltà che incontri nel gestire questa importante cooperativa?

“Le difficoltà sono tante sia dal punto di vista della gestione amministrativa che del mercato. Da un lato, abbiamo le lungaggini burocratiche che ormai raggiungono livelli deliranti, se a questo aggiungiamo che cambiando i soggetti istituzionali di riferimento talvolta si ha l’impressione di ricominciare da capo tutto l’iter, insomma, diventa impossibile andare avanti. Poi ci sono le problematiche legate al mercato dell’edilizia, che – come sappiamo – in Italia è molto viziato da infiltrazioni mafiose e non solo. Ma si lotta, a volte ci si scoraggia e altre volte si va avanti con più carica. Noi fino a quando riusciamo a pagare gli stipendi ai 12 lavoratori siamo contenti, non abbiamo nessuna ambizione di arricchimento, ma solo di salvaguardare i posti di lavoro e lavorare dignitosamente seguendo tutte le regole e producendo materiali di qualità.

In rappresentanza dell’Italia, la Calcestruzzi Ericina Libera Società Cooperativa è stata invitata a Bruxelles dalla Commissione Europea – Imprese ed industria – a dare il proprio contributo in occasione del workshop sullo “sviluppo commerciale degli aggregati riciclati”

Abbiamo ricevuto il riconoscimento per il lavoro svolto e per l’impegno speso in direzione di questa causa in cui credevamo e continuiamo a credere, proprio mentre in Sicilia e in Italia organizzavamo momenti formativi pubblici e seminari, continuando a lottare presso Prefetture, Assessorati regionali, Uffici tecnici per l’applicazione della normativa vigente, nello specifico quella sul riutilizzo dei materiali riciclati.

Considera che siamo partiti nel 2009 con il nuovo impianto e i nuovi prodotti e dal 2003 l’Italia aveva recepito la linea normativa europea, obbligando gli Enti pubblici o a prevalente capitale pubblico di coprire con materiali riciclati almeno il 30% del fabbisogno. L’obiettivo dell’UE era quello di arrivare ad almeno il 70% di riutilizzo entro il 2020 (oggi siamo ancora a circa il 15%). Quindi, mentre nel nostro territorio facevamo (facciamo ancora) le battaglie sia per l’applicazione della normativa che per spiegare che riciclati e naturali hanno la stessa dignità, se possiedono le caratteristiche tecniche prestazionali dettate dalla normativa di riferimento, l’Europa ci chiamava a rappresentare l’Italia nel settore degli aggregati riciclati: direi che è stato un bel riconoscimento, una bella sfida, un bel risultato e soprattutto un incentivo ad andare aventi facendo di più e meglio.

Il volto di un’Italia che non molla, intervista a Gisella Mammo

Cosa ti senti di dire ad una ragazza che voglia intraprendere un percorso solitamente battuto dagli uomini?

Di non avere schemi e vincoli mentali, di sentirsi libera, di trovare la propria strada secondo le proprie attitudini e far seguire il desiderare qualcosa dall’impegno, dalla formazione continua: solo il saper far le cose con serietà e competenza fa la differenza.

Cari Gisella e lavoratori della Calcestruzzi Ericina Libera Soc. Cooperativa, siete il volto della Sicilia che non molla e che propone speranza. Siete un esempio di grande cambiamento e di coraggio.

Di Serena Milisenna