Con il mondo che sta virando verso un’economia più sostenibile, ci si può legittimamente domandare se sia o meno il caso di stare alla larga dalle attività e dai Paesi che basano la propria appetibilità sullo sfruttamento dei carbon fossili.

La domanda, peraltro, è stata ben posta e affrontata da un nuovo dossier della società di consulenza Verisk Maplecroft, che nel suo 2021 Political Risk Outlook ha avvertito come alcuni Paesi (Algeria, Ciad, Iraq e Nigeria su tutti) sperimenteranno una condizione di instabilità politica che sarà conseguente agli effetti subiti dai produttori di petrolio in virtù di una crescente transizione verso una produzione di energia a basse emissioni di carbonio.

Uno scenario in continua evoluzione

In altri termini, con l’allontanamento dai combustibili fossili destinato ad accelerare nel corso dei prossimi anni, e la pandemia Covid-19 che sta erodendo i margini a breve termine degli esportazioni di petrolio, Maplecroft ha avvertito in modo molto chiaro come i Paesi più dipendenti dal petrolio, che non riescono ad adattarsi al nuovo scenario, rischiano bruschi cambiamenti nel rischio di credito, politica e regolamentazione.

Certo, è pur vero che dal crollo del prezzo del petrolio del 2014, la maggior parte degli esportatori del greggio ha rivisto e diversificato le proprie economie, e molte hanno spinto sui livelli produttivi per poter ridurre il gap nelle entrate. Nonostante questo – si legge nel dossier – la maggior parte di loro ha comunque subito un duro colpo nelle proprie riserve di valuta estera, compresa l’Arabia Saudita, che ha eroso quasi la metà della sua scorta di dollari del 2014.

In particolare, i costi di break-even, la capacità di diversificare e la resilienza politica sono stati identificati come i tre fattori chiave che potrebbero determinare la gravità dell’impatto sulla stabilità locale, nel momento in cui la transizione energetica inizierà a farsi sentire con maggiore incisività.

Chi saranno i principali interessati dal cambio di paradigma

La Nigeria, la più grande economia africana, basa sulle vendite di greggio circa il 90% dei suoi guadagni in valuta estera e ha svalutato la sua valuta due volte dal marzo dello scorso anno per poter far fronte al nuovo scenario evolutivo. Il mese scorso il FMI ha esortato la banca centrale nigeriana a svalutare ancora una volta la moneta, ma questa volta ha incontrato resistenza.

Complessivamente, i Paesi più vulnerabili dinanzi a questo contesto sono i produttori a più alto costo che dipendono fortemente dal petrolio per le loro entrate, hanno una minore capacità di diversificare e sono meno stabili politicamente. Dunque, sostiene il rapporto, oltre alla già rammentata Nigeria saranno anche Algeria, Ciad e Iraq i primi ad essere colpiti, a causa dei loro tassi di cambio fissi o striscianti.

I produttori del Golfo a basso costo con istituzioni economiche più forti e risorse che consentono una più facile diversificazione, come gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, dovrebbero invece essere meno suscettibili di sconvolgimenti politici. Tuttavia, anche loro non ne usciranno indenni.

Proprio per questo motivo consigliamo a tutti coloro i quali stiano ancora cercando di investire nel petrolio puntando sull’intero settore, o sulle economie emergenti più sbilanciate sul greggio, di farlo con la giusta cautela e inquadrando il proprio impiego all’interno di una strategia ben diversificata, ricordandosi poi di sfruttare il trading online demo per testarla in condizioni di massima sicurezza.