Le nuove generazioni sono più indifese rispetto al linguaggio mafioso e come vengono utilizzati i social media dai boss? Come si possono evitare gli stereotipi nella comunicazione?
Sono queste alcune delle domande degli studenti che da Nord a Sud Italia hanno partecipato all’ultima videoconferenza del progetto educativo antimafia dedicata al tema dei “Linguaggi di mafia e antimafia e i rapporti con i media” organizzata dal Centro studi Pio La Torre.
A parlarne con loro sono stati i docenti Salvatore Di Piazza, dell’Università di Palermo, Antonio La Spina, dell’università Luiss di Roma e la giornalista Lidia Tilotta, che ha moderato l’incontro.
Un saluto è stato inviato anche da Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana che ha fatto appello all’importanza della dignità “che vuol dire anche usare le parole con sobrietà, rispettando quella lezione di verità che ci hanno lasciato i giornalisti uccisi dalla mafia”.
Un monito che nel contesto attuale del conflitto tra Russia e Ucraina pone nuovi interrogativi, come ha ricordato Lidia Tilotta: “Avere gli strumenti utili per capire le notizie in questo mondo liquido è la sfida, e il contesto drammatico attuale ci fa capire quanto possa essere difficile anche per i media più affidabili dare un’informazione completa della guerra”.
“La mafia soffre un certo bipolarismo – ha detto Di Piazza – essendo un’organizzazione segreta e criminale deve nascondersi, ma allo stesso tempo essere riconoscibile per non perdere la propria aura di potenza”. “Con le moderne tecniche investigative si può sapere molto di più della mafia rispetto a qualche decennio fa, quando si arrivava a negarne l’esistenza stessa – dice La Spina – Nel linguaggio dei boss spesso c’è anche quello che non si dice, perché a volte si comunica dicendo le cose in modo obliquo”.