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Odio sul Web, e se fossero i social a renderci più cattivi?

I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli” .

Sono passati quasi 5 anni da quando il professor Umberto Eco , tra il serio e il faceto, tacciava gli odiatori da tastiera che popolano ogni giorno i social network.

I sentimenti di rancore, cattiveria, crudeltà e disagio che si leggono giornalmente sui social sono disarmanti. L’odio insieme al risentimento rappresenta una trappola pericolosissima, e chi non ci è mai cascato?

Amici, parenti, vicini, che mai si permetterebbero di usare epiteti così coloriti nella vita quotidiana, sotto l’ ”effetto dei social network”, perdono qualsiasi freno inibitorio. Lasciando noi e gli altri lettori nello sgomento più profondo.

E se fossero i social network a renderci più cattivi di quanto non siamo nella realtà?

Che l’odio sia un sentimento umano, naturale, non è una novità, a volte però può trascendere nell’infido regno dell’insulto, dove si perde di vista l’argomento stesso del contendere. A tutto questo però i social sembrano offrire un habitat ideale.

Tutto ciò è in antitesi con il nome stesso “social network”, che dovrebbe significare “rete sociale”, e che invece diviene una ragnatela dove ci ingarbugliamo tra le fila dell’ignoranza, dell’intolleranza, della superficialità.

E se pensiamo che l’offesa sia appannaggio di persone con un livello culturale medio – basso ci sbagliamo, il decadimento lessicale spesso miete vittime illustri .

Può accadere addirittura di trovarsi quotidianamente davanti a insulti o addirittura a auguri di morte, questo crea ovviamente disagio e frustrazione, se non addirittura sconforto, come dimostrano molti studi.

Certo, parliamo di una minoranza che inquina il dibattito pubblico, ma una minoranza rumorosa e molto agguerrita. E il sospetto che i social possano “far male” prende forma, anche in dichiarazioni quantomeno inquietanti.

Sean Parker, uno dei primi investitori di Facebook, ha dichiarato che “il social di Zuckerberg sfrutta le vulnerabilità psicologiche umane” alimentando paura e ansia di restare esclusi dal flusso inarrestabile di notizie, vere o false che siano.

Tesi avvalorata scientificamente da un ex manager di Facebook, Chamath Palihapitiya che ha spiegato come “i cicli di feedback a breve termine che abbiamo creato, guidati dalla dopamina, stanno distruggendo il modo in cui la società funziona. Nel sistema di interazioni online basato su cuori, like e pollici all’insù, non c’è nessun discorso civile, nessuna cooperazione ma disinformazione e menzogna”.

Insomma, i social network in qualche modo ci fanno male. Anche se non dovremmo mai scordare che, come di tutti gli strumenti, resta fondamentale l’uso che ciascuno ne fa. Restare calmi e discutere con razionalità e rispetto.

Argomentare e rendersi disponibili anche a cambiare idea davanti a motivazioni convincenti, possono essere delle buone pratiche per limitare l’odio. Mettersi in contatto, aiutarsi, cooperare, scambiarsi pensieri e opinioni, favorire valori positivi sono comportamenti assolutamente congeniali ai social network. Eppure, è come se ci fosse una sorta di “pudore del bene”.

Il bene non fa rumore, ma merita di essere diffuso. Nell’era dell’individualismo, cercare di stare insieme, essere “social” per davvero, potrebbe essere un buon proposito e una nuova avvincente sfida. Non solo in rete.

Fonte: Daniele Cinà, esperto di comunicazione digitale

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Published by
Davide Difazio