Social e haters, come difendersi

Cari lettori, con questo breve articolo vorrei  esternare una riflessione generica sui social, uno straordinario strumento di democrazia  che  negli anni, come  primo effetto, ha avuto  quello  di abbattere le distanze.

Oggi chiunque dal divano di casa propria può in tempo reale interagire con chiunque, dal parente emigrato in un altro continente fino al presidente del Consiglio o altri illustri personaggi.

Un fatto impensabile fino al decennio scorso. I social media danno diritto di parola a chiunque sia provvisto di un pc e di un profilo social(Facebook, Instagram , Twitter , ecc, ecc)

Una delle principali conseguenze dell’abbattimento delle distanze è il fatto che tutti si sentono legittimati ad esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento. Dalla geopolitica alle ricerche spaziali pur senza avere la minima competenza in materia. Sui social si possono esprimere giudizi di valore in totale libertà ma il passo per diventare odiatori è breve.

I social sono diventati il luogo per eccellenza dove sfogare le proprie frustrazioni. L’hater(odiatore) è trasversale, va dallo stimato professionista al giovane disoccupato, non esiste una categoria sociale ben precisa.

Queste persone commettono quotidianamente una sfilza di reati, dalla diffamazione all’ingiuria, passando per la calunnia e la violazione della privacy. Il tutto in una sorta di impunità apparente.

Ma così non è poichè anche la semplice allusione  può portare a conseguenze penali. Personalmente, in passato, ho avuto a che fare, a seguito di alcuni miei articoli, principalmente sul tema immigrazione, con dei personaggi che mi hanno offeso pesantemente sui social e , nonostante li avessi invitati con toni pacati ed educati a chiedere scusa e rimuovere le offese, con fare arrogante e pretestuoso hanno continuato nel loro intento offensivo, alla prima lettera dell’avvocato mi hanno scritto in privato con la coda in mezzo alle gambe pregandomi di non continuare l’azione legale.

Con questo cosa voglio dire, che spesso sui SOCIAL, presi da una sorta di delirio di onnipotenza o dall’enfasi di un nostro stato d’animo magari di disappunto, pensiamo di poter dire qualsiasi cosa non considerando le parole che usiamo ma ATTENZIONE perchè INTERNET non è una zona franca valgono le stesse regole della vita reale.

Nella quotidianità fermereste  per strada una persona che vi sta antipatica per  gridargli  in faccia una serie di epiteti per nulla costruttivi? Io penso di no, e allora perchè farlo sui SOCIAL, si corre lo stesso rischio , anzi no, si corre un rischio maggiore perchè c’è l’aggravante della diffamazione a mezzo stampa e attenzione perchè non basta aggredire qualcuno omettendo di nominarlo, basta  una semplice allusione al  soggetto colpito, purchè facilmente individuabile,  per far scattare  una condanna penale , come detto non importa che nome e cognome vengano omessi.

Se, insomma, si sente la necessità di sfogarsi pubblicamente tentando di fare i furbi e dissimulando il nome del destinatario delle invettive con allusioni comunque idonee a identificarlo, non si deve affatto credere di essere salvi: la giurisprudenza nel tempo ha parlato chiaro e dal rischio di essere condannati per diffamazione non si scappa.

Peraltro, come ricordato anche recentemente dalla quinta sezione penale della Cassazione nella sentenza numero 8328 del 1° marzo 2016, diffondere un messaggio diffamatorio attraverso l’utilizzo di un social network rappresenta un’ipotesi di reato aggravata ai sensi del comma terzo dell’articolo 595 del codice penale: la diffusione del messaggio, infatti, ha in tal caso la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone in tempi assai ravvicinati.

Ecco quindi che pubblicare e diffondere sui social network contenuti che offendono anche velatamente l’altrui onore, l’altrui reputazione e l’altrui decoro genera un’indubbia e rilevante responsabilità da fatto illecito, che comporta anche l’obbligo di risarcire il conseguente danno morale. Oltretutto neanche eliminare tempestivamente il post “incriminato” rendendosi conto delle conseguenze che ne possono derivare può sempre essere un valido rimedio: chi si senta offeso e voglia ottenere giustizia può comunque essere aiutato dai testimoni che hanno letto l’invettiva o dai moderni strumenti tecnologici idonei a ricostruire la vicenda.

E allora , in conclusione, il mio invito è sempre quello di esternare il proprio disappunto alla vecchia maniera guardandosi negli occhi perchè spesso la comunicazione non verbale dà adito a quella che viene definita la classica psicologia del malinteso, il nostro pensiero spesso è su una lunghezza d’onda differente rispetto al nostro interlocutore che può recepirlo come offensivo o aggressivo anche se non lo è ….e scatta l’invettiva… viva i social ma fatene buon uso.

Di seguito alcuni dei fattori riscontrabili spesso neegli haters.

L’effetto di disinibizione online

All’interno del mondo online, le persone tendono a dire o fare cose in modo più aperto, disinibito e intenso rispetto a come le direbbero nel contesto di interazioni faccia a faccia. Questo fenomeno è stato definito effetto di disinibizione online (Suler, 2004). Alla base dell’effetto di disinibizione vi sarebbe la natura stessa del cyber spazio, caratterizzato da:

anonimità dissociativa: a differenza della comunicazione diretta, la comunicazione mediata da uno strumento offre alle persone l’opportunità di sperimentare una separazione e distinzione delle loro azioni online dal loro abituale stile di vita e dalla loro vera identità.

invisibilità: il fatto che nel mondo online le persone non possano vedersi l’un l’altra contribuisce ad aumentare l’effetto di disinibizione dando il coraggio agli utenti di esplorare luoghi o fare cose che altrimenti non farebbero.

asincronia: nella comunicazione online manca spesso la sincronia comunicativa, e gli scambi non sono in tempo reale. Il fatto di non dover far fronte alla reazione istantanea dell’altra persona contribuisce all’effetto di disinibizione. Infatti, se l’utente non ha modo di vedere la reazione dell’interlocutore e di adattare la propria comunicazione di conseguenza può essere portato a persistere nella strategia comunicativa in atto, anche e soprattutto nei casi in cui questa è lesiva, magari più di quanto inizialmente preventivato.

immaginazione dissociativa: l’opportunità data dal mondo online di dissociarsi, combinata alla possibilità di creare un proprio personaggio in parte (o totalmente) immaginario, amplifica l’effetto di disinibizione, poiché le persone consciamente o inconsciamente collocano questo personaggio in un altro spazio separato e distinto da quello della vita reale, uno spazio in cui le conseguenze delle proprie azioni sono concepite (spesso erroneamente) come meno intense e potenzialmente problematiche.

minimizzazione dell’autorità: la mancanza di indizi non verbali riduce l’effetto di norme sociali le quali, nel mondo reale, contribuiscono a regolare il comportamento. Per esempio, gli utenti non sono portati a riconoscere l’autorità degli altri (di solito comunicata tramite indici sociali e non verbali, come la postura o l’abbigliamento) e di conseguenza non regolano il loro comportamento come farebbero se la conversazione si sviluppasse in contesto non mediato.

Le motivazioni degli haters

Sebbene le classiche annotazioni di Suler aiutino a comprendere il contesto online e come esso faciliti l’emergenza di comportamenti di solito inammissibili nella comunicazione faccia a faccia, ancora non ci permettono di fare passi avanti nella comprensione psicologica del fenomeno hater.

In altre parole la domanda che sorge spontanea è: perché si diventa un hater? In uno studio condotto da Shachaf e Hara nel 2010 (Shachaf e Hara, 2010), gli autori hanno identificato come giustificazione dei comportamenti aggressivi esperienze quali la noia, oppure obiettivi come la ricerca di attenzione, la vendetta, il piacere e il desiderio di fare un danno alla comunità, in relazione alla quale gli haters si percepiscono come outsider o addirittura come oppositori.

Non è da escludere tuttavia che il comportamento aggressivo online sia anche legato ai tratti di personalità degli haters stessi. In uno studio online del 2014, Buckels e colleghi (Buckels, Trapnell, e Paulhus, 2014) hanno intervistato 1215 soggetti esaminando i loro profili di personalità e il loro stile comunicativo su internet. In generale i ricercatori hanno trovato una correlazione positiva tra i tratti di personalità narcisista e machiavellica, tratti psicopatici, personalità antisociale e personalità sadica. In particolare, l’associazione più forte che è emersa da questo studio è quella tra l’utilizzo di commenti negativi, distruttivi e i tratti di personalità sadica.

I comportamenti negativi online verrebbero quindi messi in atto per il puro piacere di farlo e il fenomeno andrebbe letto come una manifestazione quotidiana online dei tratti sadici che le persone tendono a non esprimere nella vita reale. Coerentemente, dalla ricerca di Craker e March (2016) risulta che l’outcome principale ricercato dagli haters è la “potenza sociale negativa” o la sensazione di sentirsi potenti risultante dall’aver arrecato danno ad altri.

Il legame tra comportamenti di trolling e i tratti di personalità cosiddetti “oscuri” (psicopatia, narcisismo e machiavellismo) emerge anche da altri studi recenti (Lopes e Yu, 2017), i quali aggiungono però alcuni particolari importanti. Il tratto di psicopatia risulta quello maggiormente correlato a tali comportamenti, ma allo stesso tempo anche a caratteristiche vittimologiche specifiche.

Diversamente da bulli e cyberbulli, i troll psicopatici, che si focalizzano comunque su un range relativamente limitato di persone da infastidire, tendono a preferire vittime che percepiscono come popolari, attraenti, di successo; infatti, persone deboli o impopolari sono più facili da manipolare per i propri fini (comportamento comune anche al tratto machiavellico), ma non rappresentano una sfida interessante per gli psicopatici, i quali sono interessati non solo ad attaccare la vittima ma anche ad umiliarla pubblicamente di fronte ai follower che la apprezzano.


Conclusioni:

È dunque necessario tenere in considerazione il fatto che il fenomeno haters presenti due potenziali risvolti. Da un lato, gran parte dei fenomeni di hating sono ascrivibili al solo contesto on line e possono essere considerati come sostanzialmente innocui. Possono sì scatenare reazioni negative negli altri, ma sono pressoché privi di effetti nel “mondo reale” delle relazioni.

Per questi casi vale la strategia riassunta dal noto adagio “don’t feed the troll” in italiano “non dar da mangiare al troll”; se l’hater viene ignorato, e i destinatari delle offese non rispondono ai suoi attacchi, tende ad annoiarsi e ad abbandonare il contesto online dove sta cercando di creare confusione.

D’altro canto, la relazione predittiva e correlazionale individuata in letteratura tra questi comportamenti e i tratti di personalità antisociali mette in luce che, in alcuni rari casi, comportamenti insistenti di trolling e hating possono essere indice di intenzioni dannose, antisociali e fisicamente aggressive che rispecchiano personalità disturbate e inimicizie intense.

Per concludere, un fenomeno come quello degli haters va ascritto alla complessità dei nuovi media e del mondo che hanno contribuito a creare; essi sono senz’altro uno dei prodotti delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, e tuttavia, proprio in quanto tali, nella maggior parte dei casi i comportamenti aggressivi e lesivi dei troll non vedono la luce al di fuori del contesto mediato da schermi e tastiere.

Nei casi in cui, invece, il comportamento online costituisce effettivamente il riflesso di reali problemi e rischi relazionali, la radice di questi è da ricercarsi nelle disposizioni caratteriali e morali dei singoli individui, sostanzialmente indipendente dall’utilizzo delle tecnologie.

Bibliografia:
https://www.studiocataldi.it
https://qi.hogrefe.it

Davide Difazio, giornalista iscritto all’albo nazionale dei giornalisti, elenco pubblicisti Sicilia, dal 09/05/2003 N° di tessera 098283, protagonista di diverse trasmissioni televisive in Rai e Mediaset ha collaborato con diverse testate giornalistiche nazionali ottenendo risultati lusinghieri. Fondatore della testata giornalistica Siciliareporter.com, in pochi anni , è riuscito a far diventare il portale un importante punto di riferimento per l'informazione siciliana.