Per i pazienti che soffrono di psoriasi, l’arrivo della bella stagione può essere un’arma a doppio taglio. Se il sole e l’acqua di mare in alcuni casi possono migliorare l’aspetto delle lesioni cutanee e un clima caldo e umido mantiene la pelle più morbida, gli sbalzi di temperatura, l’aria condizionata e il cloro possono scatenare il rilascio di sostanze che aumentano la secchezza e il prurito. La conseguenza è un aumento dei fenomeni infiammatori, prodromo del peggioramento dei sintomi. Sì al sole, dunque, ma con cautela. Le persone con psoriasi beneficiano dell’esposizione al sole purché questa sia effettuata gradualmente e con adeguata protezione (almeno 50), rinnovando l’applicazione ogni due ore ed evitando l’esposizione nelle ore centrali della giornata. In Italia, si stima siano affette da psoriasi circa 1,5 milioni di persone con una prevalenza pari al 2,8% della popolazione. Nel mondo, sono 25 milioni a soffrirne, oltre un terzo dei quali in forma non lieve, cioè con un interessamento di oltre il 10% della superficie del corporea. La patologia colpisce inoltre donne e uomini senza particolari distinzioni e può comparire a qualsiasi età, tuttavia la prevalenza della psoriasi aumenta con l’avanzare dell’età. La malattia presenta un picco bimodale di insorgenza: il primo è compreso tra i 16 e i 22 anni, il secondo tra i 57 e i 60 anni. Pelle arrossata, desquamazione, prurito e dolore sono in sintomi che interessano la cute. Ma questa malattia non è solo un problema estetico: lo stato di infiammazione permanente ha delle conseguenze sull’intero organismo, tanto che la psoriasi è associata a vari disturbi, come malattie cardiovascolari, metaboliche, infiammatorie croniche, steatosi epatica, spondilite anchilosante e artrite psoriasica che colpisce fino al 30% dei pazienti. Ad oggi i fattori che scatenano la malattia non sono ancora totalmente chiari. Secondo l’ipotesi più accreditata la psoriasi sarebbe causata principalmente da fattori genetici a cui si aggiungono quelli ambientali e anomalie nel sistema immunitario. Ed è proprio su quest’ultimo punto che si sta concentrando la ricerca. L’idea di fondo è molto semplice: spegnere l’infiammazione bloccando la produzione delle interleuchine, molecole che promuovono questo processo. Ad oggi sono diverse le molecole in sperimentazione (alcune già approvate) che sfruttano questo meccanismo. Nel caso specifico delle ultime molecole entrate in commercio il bersaglio è l’interleuchina 17. Una di esse, ixekizumab, è stata da poco approvata da FDA ed EMA, le agenzie che regolano l’immissione in commercio dei vari farmaci. Nello studio appena pubblicato è stato dimostrato che la molecola in questione funziona anche per quella categoria di pazienti affetti da psoriasi moderata-grave. I ricercatori hanno infatti scoperto che la somministrazione dell’anticorpo –effettuata su oltre 3600 persone- è stata in grado di ridurre in maniera significativa l’infiammazione e i risultati sono perdurati per oltre 60 settimane. Un buon risultato che si aggiunge a quelli ottenuti da un’altra molecola che agisce con lo stesso meccanismo –brodalumab- che dovrebbe essere approvata entro la fine del 2016. Fonti: www.lastampa.it Twitter @danielebanfi83