spotto

Il bullismo trova strade sempre più contorte e psicologicamente violente per farsi strada tra i giovani. Ogni giorno si sentono storie di ordinaria follia: ragazzi suicidi dopo essere stati insultati a scuola, risse per difendersi dai bulli e molte altre.

Una delle ultime notizie di cronaca riguarda un nuovo fenomeno chiamato spotto, che coinvolge gli under 18 ed è basato sull’insulto gratuito, naturalmente nascosti dall’anonimato. In questa guida cercheremo di affrontare questo tema e quello più ampio del bullismo.

Che cos’è il bullismo?

Per bullismo si intendono tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso, messe in atto da parte di un adolescente, definito bullo, da qui il nome, nei confronti di un altro ragazzo o ragazza, percepito come più debole, la vittima.

Secondo le definizioni date dagli studiosi del fenomeno, uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto deliberatamente da uno o più compagni.

Non si fa quindi riferimento ad un singolo atto, ma a una serie di comportamenti portati avanti ripetutamente, all’interno di un gruppo, da parte di qualcuno fa o dice cose per avere potere su un’altra persona.

Il termine si riferisce al fenomeno nel suo complesso e include i comportamenti del bullo, quelli della vittima e anche di chi assiste.

È possibile distinguere tra bullismo diretto, che comprende attacchi espliciti nei confronti della vittima e può essere di tipo fisico o verbale e bullismo indiretto, che danneggia la vittima nelle sue relazioni con le altre persone, attraverso atti come l’esclusione dal gruppo dei pari, l’isolamento, la diffusione di pettegolezzi e calunnie sul suo conto, il danneggiamento dei suoi rapporti di amicizia.

Chi è vittima di bullismo?

Perché si possa parlare di bullismo è necessario che siano soddisfatti alcuni requisiti:

  • protagonisti sono sempre bambini o ragazzi, in genere in età scolare, che condividono lo stesso contesto, più comunemente la scuola;
  • gli atti di prepotenza, le molestie o le aggressioni sono intenzionali, cioè sono messi in atto dal bullo (o dai bulli) per provocare un danno alla vittima o per divertimento;
  • c’è persistenza nel tempo: le azioni dei bulli durano nel tempo, per settimane, mesi o anni e sono ripetute;
  • c’è asimmetria nella relazione, cioè uno squilibrio di potere tra chi compie l’azione e chi la subisce, ad esempio per ragioni di età, di forza, di genere e per la popolarità che il bullo ha nel gruppo di suoi coetanei;
  • la vittima non è in grado di difendersi, è isolata e ha paura di denunciare gli episodi di bullismo perché teme vendetta

Il caso dello Spotto

Spotto quel mostro di…, Spottoquello stupido di…, ecco di cosa stiamo parlando. Un labirinto di insulti, dove la diffamazione è un’arma affilata che ferisce adolescenti spesso inermi. Si chiamano Spotted, dall’inglese avvistato: si declinano così le pagine Facebook ma, soprattutto Instagram, nate per segnalare un ragazzo o una ragazza che si vuole offendere.

Non c’è scuola che si salvi da questo giochino perverso che non conosce pietà. A essere presi di mira non sono solo gli studenti più vulnerabili, ma anche i professori.

Tutti indicati con nomi e cognomi, mentre i diffamatori sono rigorosamente privi di identità. E poco importa se l’anonimato sul web non esista, visto che la polizia postale può sempre risalire all’indirizzo Ip che contraddistingue ogni utente virtuale: non tutti hanno il coraggio di denunciare e di parlare pubblicamente di una vicenda che rimane fonte di vergogna.

profili Spotted funzionano in maniera molto semplice: si manda un messaggio privato al gestore, che provvede a ripubblicarlo oscurando il nome dell’utente che lo ha inviato. Ogni post è poi accompagnato da commenti di scherno.

E le vittime? Cercano di difendersi come possono scrivendo dei messaggi privati e disperati all’amministratore della pagina, nella speranza che voglia rimuovere lo Spotted incriminato.

I docenti sanno ma non possono intervenire, se non consigliando agli studenti di rivolgersi alla polizia. Tanti preferiscono lasciar correre anche quando, camminando per i corridoi di scuola, i compagni, cellulare alla mano, li guardano sghignazzando. E così i bulli continuano ad agire indisturbati, forti della vergogna che le loro vittime provano dopo essere precipitate in questa cloaca intrisa di odio.

Il bullismo sembra una macchina inarrestabile, che appena si pensa di aver trovato un modo per bloccarle la strada, trova una strada alternativa. Se si riuscisse sempre a ricordare che non si è soli e che si può denunciare il fatto, forse esisterebbero meno casi di cronaca nera che coinvolgono minori come quello che ancora oggi scuote l’Italia.